Pietro Berrettini - Pietro da Cortona (Cortona 1597 - Roma 1669)

Pietro Berrettini nacque a Cortona nel 1597 (Merz 1997) da una famiglia di modesta estrazione. Dopo un apprendistato a Firenze presso Andrea Commodi "venne in Roma povero giovinetto, vestito poveramente, ma però con indole di buonissima voluntà e costume (Mancini, 1957). Fu proprio il Commodi a chiamarlo qui, nel 1611, per raccomandarlo al pittore Baccio Ciarpi tre anni dopo. Il Ciarpi introdusse Pietro negli ambienti degli Oratoriali. Il rapporto con questi ultimi "sarà il filo conduttore di un legame di committenza che accompagna tutta l’esistenza del pittore" (Lo Bianco, 1997). Come ricorda il nipote Luca Berrettini, a determinare la sua affermazione, oltre il talento naturale furono "lo studio assiduo e le fatiche incomparabili ch’egli vi impiegò perché a dire il vero nella città di Roma scola nobilissima della professione non si ritrova cosa di bello e di utile ne’ giardini, ne’ palazzi, o nelle chiese o per le strade che egli da ragazzo (…) non disegnasse più volte" ( Lettera a Ciro Ferri, in Campori 1866).
Nei primi decenni romani oltre Baccio Ciarpi "(…) un punto di riferimento ideale in quegli anni acerbi è costituito da un altro toscano celebre, da Cristofano Allori, esempio estremo di virtù" (Lo Bianco, 1997).
Nei riguardi dell’Allori lo stesso Pietro asseriva che "quand’anche al mondo fossero per disgrazia mancati tutti i buoni esempi di pittura, quel solo quadro dell’Allori il Beato Manente [sic!] avrebbe nondimeno servito per rimettere l’arte nella sua perfezione" (Fabbrini, 1896).
Particolarmente capace nell’esecuzione di decorazioni, fu protetto anche dal pittore Prospero Orsi famoso per le grottesche; proprio questa abilità procurò al Cortona un incarico presso il Palazzo Mattei di Giove, dove fu chiamato da Pietro Paolo Bonzi per realizzare medaglioni con finti bronzi e quattro scene della vita di Salomone (1622-23). Intorno agli anni venti, a determinare una decisiva svolta nella carriera del Cortona fu l’incontro con Marcello Sacchetti, che ne apprezzò le doti e lo prese sotto la sua protezione. Il Sacchetti aveva trovato nel pittore colui che "sapeva dare un caldo senso di vita ai suoi sogni del passato" (Haskell, 1966). Pietro lavorò per la famiglia Sacchetti nella villa di Castelfusano presso Ostia e nel casino del Pigneto; per essa realizzò alcuni dipinti come il Trionfo di Bacco e il Sacrificio di Polissena, del 1624, e ancora, nel 1626 il Ratto delle Sabine.
Questi committenti gli valsero l’introduzione alla "corte" dei Barberini, dai quali ottenne la prima commissione pubblica per la decorazione a fresco nella Chiesa di S. Bibiana, che Urbano VIII volle far ristrutturare dal Bernini tra il 1624 e il 1626. Qui  "Pietro vi dipinse a competenza d’Agostin Ciampelli, che ridendosi, e beffandosi sul principio di lui, molto se ne maravigliò, ed infine se ne afflisse allorché si vide superato" (Pascoli, 1736).
Nel corso degli anni trenta si collocano i lavori per la chiesa dei  Santi Luca e Martina e, tra il 1632 e il 1639, quelli della volta per la sala Barberini nel palazzo alle Quattro Fontane, (con il Trionfo della Divina Provvidenza in cui si celebrava Urbano VIII e la famiglia attraverso una complessa e articolata decorazione ispirata al poema in ventiquattro canti dell’erudito Francesco Bracciolini). Raggiunto il culmine della fama, Pietro nel 1634 fu eletto principe dell’Accademia di San Luca.
A questo punto "gli cadde in pensiero di vedere l’Italia: e presa la via di Loreto, traversò la Romagna, passò in Lombardia, si fermò per qualche tempo a Venezia; ed osservate le pitture più celebri di tutti quei paesi, se ne ritornava a Roma per la strada di Firenze" (Pascoli, 1736). In effetti, nel giugno del 1637, il cardinale Giulio Sacchetti, fratello di Marcello, partì per Bologna in veste di legato pontificio accompagnato da Pietro. Sostando a Firenze "(…) la Fortuna (…) somministrò al Berrettini una nuova occasione da farsi distinguere negli stimatissimi lavori, che abbelliscono le stanze del Real Palazzo Pitti" (Corsi, 1774). I  lavori a Palazzo Pitti, cominciati nella Sala della Stufa con le Quattro età dell’uomo, lo terranno occupato ancora tra il 1640 e il 1647, quando completerà la decorazione delle Sale dei Pianeti.
Nel 1644, di ritorno a Roma, il pittore trovò una situazione mutata: era salito al soglio pontificio Innocenzo X Pamphilj (1644-1655), e i suoi vecchi committenti, i Barberini, erano fuggiti in Francia. Pietro, tuttavia, ottenne ancora importanti commissioni, "giacchè in folla, ed a gara correvano coloro, che a man giunte l’avevano fino allora aspettato, e che bramavano, che in verun modo mai più ne partisse" (Pascoli, 1736). Nel 1647 mise mano alla decorazione per la Chiesa Nuova che, tra diverse interruzioni, portò avanti per quasi venti anni; poco dopo dipinse la galleria di Palazzo Pamphilj in Piazza Navona (1651-57) commissionatagli dal pontefice.
Durante gli anni del pontificato di Alessandro VII Chigi (1655-1667) affiancò all’attività di pittore quella di architetto. Tra i progetti di questi anni vanno ricordate la realizzazione di S. Maria della Pace e quella S. Maria in via Lata.
"Giunto al culmine della sua gloria, aggravato sempre più dagli anni (…) passò ai 16 di maggio del 1669, a miglior vita con dolor universale di tutto il paese (…)" (Pascoli, 1736).

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